Film - forse horror - del 1987, scritto e interpretato da Marco Antonio
Andolfi, che scoprirete essere proprio un bel guaglione.
La pellicola, totalmente finanziata dallo Stato, racconta l’incredibile
vicenda di Marco Sartori da Roma che si reca a Napoli per incontrare la cugina
Carmela, tra l’altro venuta su niente male. Il nostro eroe, per nulla inibito
dall’eventuale incesto, tenta di sedurre la ragazza raccontandole la sua triste
storia. L’esperienza in collegio e i duri anni di lavoro alla Germania. La straordinaria bellezza del protagonista esige per
contrappasso un mare di guai. Uno scippatore porta via allo sprovveduto Marco
una collana con una croce gemmata, che gliel’aveva pure regalata la mamma e
c’era tanto
affezionato. Da questo momento inizia una nuova travagliata
avventura del romano in trasferta che pur di rientrare in possesso del maltolto
è pronto a sfidare la camorra.
La croce dalle sette
pietre nasce in seguito ad uno scippo realmente subito da Marco Antonio Andolfi,
ma il regista non si limita ad analizzare l’atto criminale in sé e lo
arricchisce di esoterismo, di religiosità e tenta una profonda analisi della
natura umana. Diretto, per asserzione dello stesso Andolfi, a suon di schiaffi
e denunce penali, ma anche con un poco d’amore, il film mette in scena l’eterna
lotta tra bene e male e nello specifico tra Gesù Cristo e lo dimonio che
compaiono nella pellicola come comprimari.
Lo scarso finanziamento da parte del Ministero dei Beni Culturali costringe
Andolfi ad improvvisarsi regista, interprete, sceneggiatore, doppiatore,
stuntman e persino tecnico degli effetti speciali. Da cui il pietoso risultato. La pellicola incrocia le vicende di un uomo lupo con quelle della camorra
napoletana e giusto per non cadere ancora più nel ridicolo, a supporto della
storia, arrivano tutti i peggiori pregiudizi sui napoletani che in quanto tali
sono inevitabilmente camorristi. La recitazione di tutti i protagonisti – Eddy
Andolf in primis – è pessima, tutti roteano sul set in preda ad un’isteria
inconsapevole lasciando così atterriti persino gli oggetti di scena. Il climax
è raggiunto quando appare in scena il licantropo, glabro ovunque fuorché per un
po’ di peli in faccia e –fortunatamente - sul pube, che non si limita a
sbranare il prossimo come da tradizione, ma ne fa una fondue grazie agli occhi
di brace. Metà del minutaggio si perde in scene senza significato alcuno (orge,
apparizioni divine e tutto quello che vi viene in mente), montate a caso e
inquadrate peggio, accumunate soltanto dalla fotografia vermiglia. E se al
pubblico maschile viene concesso di godere delle grazie delle impudiche
comparse femminili, alle donne non resta che accontentarsi della fin troppo
millantata avvenenza di Andolfi.
Non riesco a spiegarmi come Italia La
croce dalle sette pietre possa aver avuto così poco successo (fu proiettato
in solo due sale in Sicilia), trovo però consolazione nell’apprendere che la
pellicola ha invece goduto di una fortunata tournèe in giro per il mondo,
diventando popolarissima in Giappone, Cina ed Argentina. Visione caldamente
consigliata ai cultori del brutto che qui trova senza dubbio alcuno una delle
sue massime espressioni.
Marco Antonio Andolfi ha dichiarato in una sua intervista di aver tanto
sofferto a causa della perfidia degli uomini. Ce l’hai fatta scontare la
perfidia Andolfi, ce l’hai.
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